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Un Mondo Possibile

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Politica, Economia, Cultura e Democrazia Economica
Movimento per la Democrazia Economica
CHI HA PAURA DEL PROTEZIONISMO ECONOMICO?

strategie contro la globalizzazoione neoliberista

Il 10 giugno scorso a Shangai, mentre il ministro degli esteri cinese Bo Xilai consegnava al commissario europeo Peter Mandelson una T-shirt made in China, veniva annunciato un accordo commerciale: "La Cina auto limiterà le esportazioni di prodotti tessili verso l'Europa fino alla fine del 2008". Il comunicato continuava affermando che: ''L'accordo consente una crescita ragionevole delle esportazioni cinesi di tessile verso la Ue nel periodo 2005-2007 mentre da' tempo per aggiustare l'industria tessile dell'Unione Europea''. Tutti contenti di aver raggiunto un'acccordo che però non specifica come ed in quale maniera la Cina si limiterà nell'esportazione e quali misure di controllo verranno predisposte per verificare questa auto limitazione. Siamo alle solite basta un sorriso di circostanza, una battuta ed un'azione mediatica come la trovata della maglietta regalata al commissario Mandelson che i problemi occupazionali e produttivi di milioni di lavoratori e di migliaia di piccoli imprenditori europei sembrano dissolversi nel nulla. Che le istituzioni UE non rappresentino più le aspettative e le esigenze della popolazione comunitaria è un dato di fatto ma è ancor più grave che le stesse istituzioni non riescano a trovare soluzioni realisticamente possibili per salvare dal collasso sociale ed economico la "Vecchia Europa".

Oramai salgono da più parti la richieste di misure protezionistiche che permettano all'economia europea di ripartire ma evidentemente le nostre leadership continentali, infettate dal virus mortale della globalizzazione neoliberista, sono ormai arrivati al livello della demenza totale e continuano a ripetere che la globalizzazione economica porterà benessere e prosperità per tutti. È stato già detto in queste pagine che un'applicazione di forme di dazi doganali flessibili ed applicati in maniera intelligente sono una misura necessaria per far ripartire la nostra economia.
Va premesso che tutti vorremmo liberarci dei dazi visto che è una tassa sull'importazione e ciò può impedire l'espansione dei mercati. Nessuno vuole dar luogo ad una nuova era di protezionismo incondizionato e di guerre commerciali ma ristabilire un equilibrio economico che la globalizzazione neoliberista ha distrutto favorendo gli interessi delle multinazionali. Il loro superamento va legato sicuramente alla creazione di quelle condizioni di mercato necessarie per garantire pari opportunità economiche, che salvaguardino le produzioni locali da meccanismi di dumping economico, uno dei fattori che impedisce una reale competitività di mercato.

Per entrare nel pratico, siamo tutti concordi nel sostenere che certe misure di salvaguardia dell'ambiente sono necessarie,quindi se le nostre aziende, per produrre rispettando l'ambiente, debbono investire una percentuale di capitale sarà difficile competere con le aziende di quei Paesi in cui non esistono leggi anti inquinamento come la Cina o che non tengano conto del risicato accordo di Kyoto. Ancor peggio, se i nostri imprenditori debbono rispettare: statuto dei lavoratori, accordi salariali ed il versamento dei contributi è praticamente impossibile competere con la Cina ed altri Paesi che non hanno queste indispensabili regole di salvaguardia dei diritti di chi lavora. E' altrettanto assurdo pensare che con una deregulation del mercato del lavoro o con l'aumento della tecnologia si possa ristabilire la competitività con questi Paesi e la situazione attuale di profonda crisi delle economie occidentali conferma questa tesi.

I dazi devono essere usati come duplice arma:
A. per mantenere la competitività delle nostra economia
B. per favorire la crescita di regole e legislazioni per la salvaguardia dei diritti sul lavoro e la tutela dell'ambiente, nelle economie dei Paesi Terzi o dei Paesi Emergenti di modo che si possano avvicinare agli standard socio produttivi europei.

I dazi non devono essere intesi, come si è sempre fatto, tipo armi di difesa per stroncare ogni possibilità di interscambio tra economie diverse. Questi processi dovrebbero essere governati in maniera flessibile. Vanno individuati settori a rischio di dumping applicando dazi a quei Paesi che non rispettano e non fanno passi in avanti nella lotta per i diritti.

Bisogna creare un organismo economico apposito dove gli esperti valutano in quale maniera ed in quali circostanze i dazi debbano essere applicati. Ad esempio l'ammontare percentuale del dazio su un determinato prodotto dovrebbe essere calcolato in modo da coprire le differenze dei costi per gli investimenti che le nostre aziende fanno per le sopraddette necessità umane ed ambientali in maniera da tenere sempre una porta aperta ai prodotti esteri e favorire la competitività. In questa direzione, da una parte si scongiureranno tensioni inflazionistiche ed i prodotti importati manterranno una certa competitività con i prodotti locali. Oppure, se il prezzo di un prodotto locale difeso dai dazi aumenta troppo sul mercato, le tasse di importazione vanno soppresse o ridimensionate.

In più, nel momento in cui l'assetto monetario delle due economie influisce pesantemente sui costi di produzione, come oggi succede tra Yuan e Euro, vanno calcolate anche queste differenze all'interno del conteggio fino a che non verranno perfezionati accordi per avvicinare i sistemi monetario, finanziario e bancario. Ci sono decine migliaia di modi differenti di utilizzare in maniera positiva i dazi e non si capisce perché questi non debbano essere applicati se l'obbiettivo è quello di trasformare il "mercato globale" verso una dimensione maggiormente positiva per la qualità della vita sia di chi consuma che di chi produce.

Perché dovremmo permettere a quelle aziende che delocalizzano all'estero unicamente per scopi di lucro e di aumento dei profitti, tagliando centinaia di migliaia di posti di lavoro in patria, di introdurre le merci senza nessuna tassa di ingresso. Tale atto va considerato antisociale visto che pretendono di venderle alle stesse persone che sono state mese in difficoltà occupazionale e salariale. Perché un produttore che onestamente paga le tasse e crea lavoro dovrebbe essere sfavorito nei confronti del produttore che per non pagare le tasse, decide di produrre all'estero e poi introdurre le merci prodotte nel nostro territorio? In questa logica non c'è niente che possa assomigliare alla libertà di mercato sognata da Adam Smith.


Uno dei motivi per i quali non vogliamo i dazi è che essi possano creare delle guerre commerciali tali da far contrarre il mercato. Questo in parte può essere vero ma questa motivazione diventa una mera scusante quando la "libera circolazione delle merci" interpretata dai sostenitori del neoliberismo economico diventa motivo di sfruttamento economico, privazione di diritti, inquinamento ambientale e opportunità e profitti per pochi, povertà e disperazione per tanti. Per applicare un sistema di dazi equo ed intelligente vanno considerati alcuni fattori:

1. la tendenza del mercati locali all'autosufficienza economica;

2. la dimensione del mercato;

3. creazione di scambi economici internazionali bilaterali.

1. Per non subire guerre commerciali la pianificazione economica va programmata nella direzione della massima utilizzazione delle risorse economico produttive a livello locale. Maggiormente l'economia si diversifica coprendo tutte le necessità e richieste di mercato in loco più quella determinata zona sarà al riparo da guerre commerciali, ricatti economico finanziari, embarghi o qualsiasi altro intento di destabilizzazione. Ogni economia dovrebbe essere autosufficiente soprattutto per quanto riguarda l'approvvigionamento energetico e delle materie prime ed in generale tutto quello che è necessario per garantire le minime necessità alla popolazione.

2. Va scartata l'idea demagogica e politicamente opportunista della Lega Nord che i dazi si possano applicare alle frontiere nazionali o della fantomatica "Padania". Ciò è solo propaganda intensa a sfruttare il malcontento della gente per finalità elettorali o di consenso. Quello che si può fare attualmente a livello nazionale è aumentare i controlli sulla merce importata per verificare se sono conformi alla nostra legislazione ma anche questo il governo attuale, di cui la Lega è parte,non lo fa con sufficiente sforzo ed impiego di forze. In ogni caso se l'Italia fosse in grado di prendere decisioni unilaterali in materia economica l'applicazione dei dazi potrebbe creare una guerra commerciale che non potrebbe sostenere sia per l'organizzazione che per le dimensioni del suo mercato. Va stabilita quindi un'area di mercato più ampia. L'Europa Comunitaria a nostro avviso è un'area sufficientemente grande per sostenere scambi commerciali senza temere il ricatto o la pressione di altre aree che prenderebbero simili accorgimenti nei confronti della UE. E' da precisare, per quelli che temono per le ripercussioni dell'export nei Paesi extra comunitari, che quelle quote di mercato perse si potranno facilmente recuperare riversando la produzione nel mercato interno. Al contrario di quello che la paura di una guerra commerciale può portare a pensare, riteniamo che questa inversione di mercato intenta a soddisfare il consumo locale porterà grossi benefici per l'occupazione, i consumi ed il potere d'acquisto di milioni di persone. E' scontato che se le aziende per accedere al mercato interno dovranno produrre in Europa, i lavoratori comunitari ne beneficeranno. E' altrettanto vero che la competitività tra le aziende diventerà più realistica e possibile visto che le differenze tra i Paesi UE non sono così marcate come lo sono ora con la Cina o altri Paesi orientali. Questo renderà possibile ai lavoratori di fare richieste salariali senza che le aziende soffrano a livello di competitività. L'effetto dell'aumento del potere d'acquisto delle persone creerà un aumento della produzione e quella spinta necessaria per una ripresa economica certa, sicura e soprattutto duratura.

3. Come abbiamo già detto l'uso delle tasse doganali non hanno come obbiettivo quello di chiudersi creando delle barriere ma ha la duplice funzione di proteggere e di indurre gli altri Paesi ad adeguare il loro mercato alle esigenze ai diritti degli esseri umani e dell'ambiente. Sotto questa luce l'Unione Europea dovrà ricercare dei partners economici extra comunitari che siano disposti a strutturare gli scambi con questa filosofia di mercato. Vanno individuati in maniera bilaterale quei Paesi disponibili a recepire queste nuove direttive. Non credo che sia un'impresa impossibile quella di trovare partners disposti ad accettare di adeguarsi a regole che salvaguardino i diritti ed il rispetto dell'ambiente quando la contropartita è quella di avere scambi bilaterali con un mercato ricco e pieno di possibilità come quello della UE.
L'applicazione di queste nuove regole cambierà positivamente la logica del mercato ed aiuterà i Paesi Comunitari a provvedere a quelle lacune produttive che non è in grado di coprire ed ad avere aperture di mercato per quei prodotti dove sussiste il surplus produttivo. Lo stesso sarà per quei Paesi extracomunitari che oltre a questo guadagneranno in democrazia economica e sviluppo.

Va ricordato ai sostenitori della Liberalizzazione Neoliberista che nella storia economica contemporanea non sempre il protezionismo ha fatto del male al mercato, anzi. Alla fine dell'ottocento l'Europa era inondata dalle merci Inglesi prodotte in patria con sistemi industriali  usando materie prime, prodotte a costi bassissimi, provenienti dalle Colonie. Il predominante colonialismo inglese mise in crisi le altre nazioni del vecchio continente impossibilitate a competere con prezzi così bassi, le quali furono costrette ad iniziare una politica protezionistica usando dei forti dazi a per proteggere il mercato interno. Belgio, Francia, Germania, Italia ebbero grossi benefici da tali misure protezionistiche: si salvarono dal collasso economico finanziario e si aprì la possibilità di riorganizzare i sistemi produttivi nazionali. Fu proprio in quel periodo che in Italia nacquero i poli siderurgici, i poli tessili e manifatturieri che dettero inizio ad un nuovo periodo di prosperità e di crescita economica.

Oggi l'Italia e l'Europa, compressi nella morsa della globalizzazione, hanno perso la loro competitività e non si può pensare che questa situazione si possa superare unicamente con l'innovazione, la ricerca o il taglio delle tasse.

La necessità di rifondare il mercato con regole e controlli precisi che salvaguardino diritti e competitività nel pieno rispetto dell'ambiente è una necessità urgente. L'uso dei dazi in maniera flessibile ed intelligente per raggiungere questi obbiettivi è oggi una strada necessaria che le economie mondiali dovranno prendere in considerazione per evitare il collasso: la storia parla chiaro.

2005-06-29 CHI HA PAURA DEL PROTEZIONISMO ECONOMICO?


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