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vestito fatto da un paracadute americano nel 1945
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La Massima Utilizzazione (parte 2)

La Massima Utilizzazione nella produzione

La produzione attuale è orientata al massimo profitto dell'imprenditore. È giusto che l'imprenditore debba fare i suoi interessi, perché questo contribuirà a mantenere attiva e vitale l'economia. Ma è anche giusto che la collettività debba fare i suoi interessi, ponendo limiti all'attività imprenditoriale quando questa diventa dannosa o poco conveniente per la comunità stessa.

L'utilizzo delle potenzialità dei materiali e delle tecnologie dovrebbe essere studiato attentamente, per trovare nuovi modi di usare le stesse risorse con un maggior tasso di utilizzazione.

Per esempio alcune fabbriche di ceramica del modenese hanno adottato un sistema di cogenerazione per utilizzare gran parte del calore disperso dai forni.

I forni per la ceramica devono essere tenuti sempre accesi, anche quando non sono utilizzati, perché l'avviamento della produzione richiede tempi lunghissimi e anche perché la dilatazione termica produce deformazioni alle strutture, che possono essere evitate tenendo i forni a temperature costanti. In altre parole, costa più spegnerli e riaccenderli piuttosto che tenerli sempre accesi.

Questo determina uno spreco notevole di energia, che può essere in gran parte recuperata da sistemi a cogenerazione. Questi sistemi usano il calore per produrre energia elettrica e il calore disperso da questo processo per produrre calore per gli usi industriali. Ottimo, direte voi, un bel po' di energia che viene recuperata a basso costo. Ma l'Enel paga questa energia ad un prezzo molto inferiore al prezzo al quale la vende, con il risultato di far diventare non conveniente la produzione di energia cogenerata in piccola scala. Infatti questi impianti industriali in alcune ore della giornata consumano energia, in altre la producono. La possibilità più conveniente è quella di diventare produttori di energia, e quindi venderla ai privati o alle imprese, ma la legge impone un minimo quantitativo di energia prodotta al giorno, troppo alto per la produzione di una singola fabbrica. Le ceramiche del modenese hanno dovuto quindi consorziarsi per vendere la loro energia ad un prezzo per loro più vantaggioso. Ma quanto sarebbe stato più semplice se lo Stato avesse previsto la produzione di energia su piccola scala, invece di incoraggiare l'accentramento della produzione energetica nelle mani di pochi? Le scelte dei nostri politici, determinate dalle pressioni di chi fa profitti, le paghiamo tutti noi.

L'inquinamento prodotto da alcune attività industriali produce costi di smaltimento altissimi, che sono pagati dalla collettività e solo parzialmente dai produttori. Questo falsa i prezzi reali dei prodotti, visto che gran parte dei costi viene pagato dallo Stato. Noi paghiamo alcuni prodotti meno del loro prezzo reale, e poi con le nostre tasse paghiamo i costi collaterali. Questo tipo di prodotti sono praticamente incentivati dalle politiche economiche attuali, che hanno come obbiettivo l'aumento degli scambi economici, senza considerare i costi sociali.

Una politica economica sana dovrebbe far pagare completamente ai produttori i costi collaterali, che dovrebbero incidere interamente sul costo dei prodotti. In questo modo i prodotti meno inquinanti sarebbero competitivi rispetto a quelli inquinanti, e il mercato sarebbe guidato più dai consumi che dal profitto. Produrre per soddisfare il consumo, piuttosto che consumare per soddisfare la produzione è uno dei criteri più efficienti per massimizzare l'utilizzo della produzione.

L'accentramento di produzioni dannose per l'ambiente, come il polo chimico di Marghera o quello di Augusta, sono un altro esempio di avventatezza politica. Permettere il concentramento di produzioni inquinanti in zone ristrette è il modo migliore di rendere impossibile lo smaltimento naturale delle sostanze contaminanti perché l'alta concentrazione di queste sostanze ne impedisce l'eliminazione da parte degli agenti naturali. Alcune lavorazioni, inoltre, producono scorie con tempi di smaltimento così lunghi da renderne il prezzo reale proibitivo e questo ci dovrebbe indurre a rifiutarle solo perché il loro costo reale, diluito nel tempo, è molto più alto del loro valore d'uso. L'abitudine di creare profitti immediati spostando alcuni costi alle prossime generazioni è un sistema che indebita le generazioni future. Per esempio la maggior parte del debito pubblico italiano risale alla sconsiderata politica economica attuata alla fine degli anni 70 e all'inizio degli anni 80. In quel periodo i titoli di stato rendevano dal 18 al 22 percento, e questo ha portato in pochi anni a sestuplicare il debito pubblico. Vogliamo fare allo stesso modo anche per i nostri figli? Vogliamo lasciar loro in eredità il debito per il risanamento ambientale? Questo tipo di debito è molto più pericoloso, potrebbero non sopravvivere in un ambiente così alterato.

Il polo industriale di Marghera ha contribuito notevolmente alla distruzione dell'ambiente naturale nelle lagune veneziane. In questo caso bisognava dare la priorità al bene prezioso del mantenimento dell'ambiente naturale, molto più prezioso e raro dei benefìci prodotti da alcune fabbriche che hanno dato lavoro, per un certo periodo, ad un numero consistente di pendolari che hanno dovuto passare alcune ore della loro giornata su un treno o su un autobus per raggiungere il luogo di lavoro. D'accordo, queste persone hanno potuto lavorare e mantenere la propria famiglia, e la concentrazione industriale ha favorito il trasporto dei materiali lavorati diminuendo i prezzi per le aziende, ma chi paga tutte le ore trascorse dai pendolari sui mezzi di trasporto che li conducevano al lavoro o a casa? Chi paga lo smaltimento dell'inquinamento dovuto alla concentrazione della produzione? Chi paga per le persone che si sono ammalate a causa dell'alto tasso di inquinamento? Chi paga per bonificare le lagune? Chi paga per i danni prodotti dalle variazioni dei valori chimici dell'acqua, che ha danneggiato le fondamenta delle costruzioni di Venezia, immerse nell'acqua? Chi paga per  la distruzione dell'ambiente naturale marino vicino ad Augusta e Priolo, che hanno trasformato una delle zone più belle della costa siciliana in un cocktail chimico micidiale? Ovviamente i costi collaterali della concentrazione della produzione li paga Pantalone, come dicono a Venezia, cioè tutti noi.

La Massima Utilizzazione nell'economia

Lo scopo dell'economia dovrebbe essere quello di migliorare le condizioni materiali di tutte le persone, producendo ricchezza e benessere per ognuno di noi. Non dobbiamo pensare all'economia come ad una scienza misteriosa che solo pochi eletti possono comprendere. Ognuno di noi conosce l'economia, perché tutti i giorni compra, vende o produce qualcosa. Ogni giorno dobbiamo far quadrare il bilancio della nostra famiglia facendo scelte economiche. Ma fare le scelte migliori per la collettività implica una qualità che pochi politici o economisti possiedono: un genuino amore per l'umanità.

La massima utilizzazione del denaro sta nella possibilità di farlo circolare: la ricchezza si moltiplica se aumentano gli scambi e se aumentano le persone che hanno la capacità effettiva di usare il denaro. C'è poco da fare, il denaro tenuto fermo serve a poco, se non a niente. Alcune teorie economiche sostengono che per aumentare il valore effettivo del denaro il modo migliore è darlo agli "investitori" che provvederanno a impiegarlo in attività produttive che daranno lavoro alla collettività. Come una sorta di sgocciolio, dai denaro agli strati superiori e questo andrà giù verso il basso. Penso che questo tipo di ragionamento sia una forma di stravaganza intellettuale che non conduce da nessuna parte, o meglio, conduce verso la distruzione del tessuto sociale.

E' evidente per tutti, persino per la Banca Mondiale, che non brilla per progressismo, che in questo momento pochissime società possiedono una percentuale altissima del capitale in circolazione, eppure questo capitale non gocciola giù verso di noi, perché chi possiede il denaro non ha alcuna voglia di investirlo in attività produttive. Allora si inventano soluzioni improbabili, come quella di costituire società possedute dallo Stato che dovrebbero attrarre gli investimenti. Il risultato è solo di aumentare il clientelismo e l'erogazione di capitali agli amici degli amici. È altrettanto evidente, per esempio dalle statistiche della Banca d'Italia, che i più grandi investitori sono le famiglie più povere, perché spendono la totalità delle proprie entrate per sopravvivere. Pensateli come degli imprenditori che rischiano il 100% del proprio capitale per dare lavoro a chi produce beni di prima necessità e a volte fanno anche debiti per acquistare ciò che serve loro per sopravvivere.

A chi deve essere dato il denaro raccolto con le imposte? Dobbiamo darlo a chi lo tiene in banca o a chi lo investe, dando lavoro agli altri? Dobbiamo darlo a chi fa speculazioni finanziarie in borsa, o a chi, comprando, da lavoro a tutti noi? Pensateci. E agite di conseguenza.

Abbiamo finora considerato l'importanza di fare circolare i capitali per ottenerne la massima utilizzazione economica, ma nella nostra visione dell'economia, come ho accennato all'inizio, bisogna considerare il valore esistenziale oltre al valore utilitario. Ogni entità ha un valore esistenziale che deriva dalla sua rarità e un valore utilitario che deriva dalla sua utilità sociale. Gli esseri umani, prodotto di un'evoluzione di milioni di anni, sono le entità più preziose della terra, la loro esistenza, limitata nel tempo, è il bene più prezioso che essi hanno. Naturalmente anche gli altri esseri viventi, animali o vegetali, hanno un loro valore esistenziale, che dipende dal loro stadio evolutivo, da quante energie la natura ha profuso per la loro evoluzione. Il valore esistenziale è più importante del valore utilitario. Non esiste nessuna scusa valida per fare vivere esistenze miserabili a nessuno dei preziosi esseri viventi, e soprattutto agli esseri umani, inestimabili gioielli dell'evoluzione, piccoli specchi dove si riflette la luce divina. Ad ogni essere umano dovrebbe essere garantita la possibilità di condurre una sopravvivenza dignitosa, con la garanzia di avere la possibilità di lavorare per vivere.

Questo deve essere realizzato anche attingendo dalle risorse accumulate da quei pochi super ricchi che ammassano a scapito della collettività, sprecando l'utilità stessa del denaro, tradendo il senso dell'esistenza del denaro e dell'economia stessa. Accumulare beni in quantità tale da togliere agli altri la possibilità di sopravvivere è una malattia mentale pericolosa, che dovrebbe essere curata al più presto. Non è una questione di colpevolezza, è solo una malattia mentale da curare, proteggendo il resto della collettività, come si cerca di difendersi dalla pedofilia.

Più volte, quando parlo di limitare l'accumulo delle ricchezze per favorire la massima utilizzazione del denaro, mi è stato chiesto quale debba essere il limite di accumulazione accettabile. Non posso rispondere a questa domanda, perché la risposta è diversa a seconda di quale delle società umane prendiamo in considerazione. Il limite di accumulazione accettabile in un villaggio sperduto di una nazione povera non è uguale a quello accettabile in una grande città di una nazione ricca. Il limite di accumulazione lo deve decidere ogni società umana, direttamente o attraverso i propri rappresentanti. Il criterio è semplice: ad ogni prezioso essere umano deve essere data la possibilità di vivere dignitosamente nel suo ambito sociale usando le proprie capacità, e il limite superiore all'accumulazione deve abbassarsi fino a raggiungere questo obbiettivo minimo. Fra il limite minimo e il limite massimo ci possono essere vari livelli, determinati dal valore sociale del nostro lavoro, perché per utilizzare al meglio il denaro deve esserci l'incentivo a produrre sempre meglio, con meno sprechi e più efficienza: le società forzatamente egualitariste hanno fallito miseramente, e le società fortemente individualiste sono sull'orlo del fallimento. Entrambe hanno sprecato molto del nostro tempo, delle nostre risorse e anche della nostra pazienza.

2006-10-26 Albino Bordieri


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