Siamo tutti lavoratori scontenti
Siamo tutti lavoratori scontenti
Un nuovo tipo di sfruttamento, subdolamente diverso dallo sfruttamento economico di una volta, si è fermamente radicato in Europa.
Riconoscerlo è il primo passo per combatterlo. Lo sfruttamento psicoeconomico, meno visibile dello sfruttamento materiale di una volta, ci opprime mentalmente prima che fisicamente, costringendoci ad una vita di sacrifici non riconosciuti socialmente, una vita nella quale la nostra creatività e le nostre capacità sono frustrate da un sistema sociale dove l'unico valore è il profitto immediato, dove il valore del lavoro, fondamento della nostra Repubblica, è sostituito dal valore del denaro.
Siamo abituati a considerare sfruttati coloro che, pur lavorando duramente, non possono godere dei frutti del proprio lavoro, le persone costrette agli stenti pur lavorando onestamente. In un certo periodo della storia italiana questa classe sociale sembrava essersi estinta, sostituita da un benessere diffuso e di livello accettabile, seppure non ottimale.
Oggi gli sfruttati sono di nuovo la categoria prevalente, con l'aggiunta di un nuovo genere di individui, anche loro sfruttati, che non si rendono conto di esserlo, ma soffrono per la loro condizione.
Le statistiche affermano che, alla quarta settimana del mese, i consumi diminuiscono. Indovinate un po' perché?
Eppure molti di noi avrebbero idee per risolvere la crisi, molti di noi avrebbero la competenza per risolvere i problemi dei più poveri. La creatività italiana è sempre stata apprezzata in tutto il mondo, ma gli italiani che la possiedono non sono in grado di far prevalere le loro idee, le loro soluzioni, per risolvere il problema assillante della libertà dai bisogni materiali, della sopravvivenza fisica in una società moderna. Non solo questo, le persone capaci e competenti non sono oggi in condizione di partecipare, proponendo le loro idee, al governo della società, o semplicemente non sono in condizione di essere ascoltati dai loro rappresentanti politici.
Lo schema è sempre quello, da un lato lo sfruttatore, che decide ogni cosa sulla testa degli altri, e dall'altro lo sfruttato, che può solo obbedire e lavorare.
Tutti noi, capaci di decidere e di proporre nel nostro ambito lavorativo, sociale ed economico, siamo trattati come puri esecutori, senza possibilità di prendere decisioni nel posto di lavoro e nel luogo dove viviamo.
Tutti noi possiamo testimoniare la nascita di una nuova classe sociale, la classe dei lavoratori che non hanno diritto ad esprimere la propria opinione, che devono lavorare e tacere.
Lo sfruttamento psichico ci distrugge l'anima, rendendoci simili ad oggetti nelle mani di chi decide sulle nostre teste. Non a caso ci chiamano "risorse umane", usando il termine risorse che prima era usato soltanto per gli attrezzi e i materiali. Il precariato, la minaccia di perdere il posto di lavoro senza possibilità di trovarne un altro, ci costringe al silenzio, e questo silenzio dà ancora più potere a chi ci tiene sotto i suoi piedi.
I nuovi sfruttati, costretti ad obbedire senza potersi esprimere, costituiscono la classe sociale dei lavoratori scontenti, che a causa della precarietà del loro posto di lavoro devono lavorare senza nessuna possibilità di esprimere ed usare le loro competenze per migliorare la propria condizione e la condizione della loro comunità.
Non importa se sono lavoratori manuali o intellettuali, lo sfruttamento consiste nel considerarli come delle pure risorse materiali, nel tenerli in un continuo stato di sottomissione, sotto la minaccia della precarietà del posto di lavoro.
Anche nei partiti troviamo una situazione simile, dove le possibilità di scelta sono in pratica nulle. Un leader o un gruppo di leader decide su tutte le attività interne ed esterne del partito, senza possibilità, per gli iscritti, di influire sulle decisioni politiche. Una dinamica simile, forse anche più accentuata, è presente pure nei movimenti e gruppi che apparentemente sono alternativi, dove a contare sono solamente i pochi che guidano il movimento.
C'è, nei partiti e nella maggior parte dei movimenti, uno sforzo continuo per soffocare qualunque idea non rientri negli schemi predisposti, qualunque idea possa portare innovazione e cambiamento. Chiunque abbia simpatizzato per un partito o per uno dei principali movimenti può testimoniare questa voglia di tenere tutto entro schemi prefissati, soffocando le proposte che non sono già state decise da un leader.
Noi che pur avendo da mangiare e da vestirci non contiamo niente, noi che siamo trattati come puri esecutori manuali anche quando abbiamo le capacità di creare, scegliere e decidere, noi, i nuovi lavoratori scontenti, dobbiamo lottare per la nostra libertà. La libertà dai bisogni materiali, ma anche la libertà di partecipare alle decisioni economiche, politiche e sociali, la libertà dalla tensione continua che ci toglie la dignità di esseri umani, la libertà dal predominio di chi considera l'ambiente una risorsa da sfruttare per i propri guadagni invece che una proprietà comune degli esseri viventi, la libertà di dire basta alla prevalenza dei disonesti, la libertà di sentirci puliti in un mondo pulito.
E' arrivato il momento, per noi, che siamo considerati pecore da guidare e da mungere, di riprendere il nostro posto nella società, di decidere ed agire insieme, di scegliere e guidare i nostri leader.
Siete pronti ad iniziare un nuovo capitolo della storia? I vecchi leader e i loro sostenitori sono preoccupati, urlano la loro paura, mascherandola con atteggiamenti aggressivi, accusandosi l'un l'altro dei disastri che hanno provocato insieme, costruendo per molti decenni un sistema basato sull'accentramento del potere economico. Nessuno di loro è innocente, chi ha sostenuto il grande capitalismo insieme a chi ha sostenuto il capitalismo di stato.
Una nuova onda di pensiero sta emergendo, libera e inarrestabile, uno tsunami sociale che cambierà il modo di gestire l'economia e la politica: i dittatori dell'economia dovranno cedere il loro potere, e noi vigileremo perché gli sfruttatori non divengano sfruttati. Noi, i lavoratori scontenti, saremo i protagonisti di una nuova era di prosperità e di pace che sarà frutto del nostro lavoro.
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